Teatro Garibaldi - Stagione 2019

Soffiare in un racconto, l’Amuleto di Roberto Bolaño, l’anima tridimensionale dell’opera teatrale, vuol dire trasformarlo in corpo che agisce nel presente. Agisce e quindi ama. Agisce e quindi lotta. Agisce e quindi ricorda. È così, nel silenzio di lunghe notti, in uno spazio segreto di aria pura, lavorando duro come uno scultore su un blocco di marmo, che è venuto fuori questo corpo che ama, che lotta, che ricorda. Il corpo di Auxilio Lacouture, colei che si barrica nei bagni dell’università di Città del Messico durante l’occupazione poliziesca del 1968, a difendere simbolicamente un ultimo, improbabile spazio di libertà. Ma del borgesiano ‘mucchio di specchi rotti’ che si accalca tra le sue memorie, sul legno del palcoscenico ne rivive uno solo: l’incontro col giovane Arturito Belano, che deciderà di tornare in Cile per sostenere il Governo di Unità Popolare di Salvador Allende durante il golpe dell’esercito cileno guidato dal generale Augusto Pinochet. Due vite risucchiate, quelle di Auxilio e Arturito, dal vortice di un solo anno ‘bello e funesto’ che ne è stato il baricentro, due alter ego – donna e uomo – dello stesso scrittore che lo ha vissuto da combattente, un’evocazione struggente dell’ultimo approdo – non a caso, dell’ausilio – rimasto a chi non vi ha perduto tutto: la memoria. Accanto ad Auxilio, tra gli oggetti di arredo della sua stanza, una radio con giradischi, la macchina del tempo che ha il potere di radunare attorno a questa notte un interlocutore collettivo quello dell’intera generazione rivoluzionaria e di ‘tradurne’ la memoria in un linguaggio nuovo, in un significato nuovo. L’unico, forse, davvero capace di spargersi più in là del ‘vento del ’68’ e di venirci ad incontrare, sgretolando ogni confine.